you don't know my name

Los Angeles - 2010

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    Mi sistemai una ciocca di capelli, mentre Andie mi fissava, un pò stupefatta forse. Io cercavo di ignorare il suo sguardo insistente, concentrandomi sulla tazza di caffè che tenevo fra le mani. Okay, il favore che le avevo chiesto era piuttosto strano, forse, ma ci conoscevamo da tanto tempo, per cui ero sicura che avrebbe acconsentito. E poi Charlotte ne sembrava entusiasta, le ero sempre piaciuta molto. -"Vorrei solo sapere perchè"- mi disse Andie, stancamente. Io smisi di bere il caffè, allontanando la tazza da me con una mano.
    Feci un lieve sorriso e dissi:- "Voglio solo stare un pò con Charlotte, non vengo da un pò e deve un pò aggiornarmi sulla sua vita da adolescente,sai com'è". Sapevo che non mi credeva.. O almeno mi credeva,si, ma sapeva anche che non era tutta la verità. Sospirai, alzandomi e avvicinandomi a lei, cingendole le spalle- "Dai, voglio solo accompagnarla a scuola!"- le diedi un bacio veloce sulla guancia prima che potesse replicare e andai via dalla cucina. Trovai Charlotte in salotto che mi aspettava con un sorrisone, i capelli rossi lasciati sciolti e gli occhi azzurri contenti. Le diedi una pacca sulla spalla per poi uscire di casa con lei. Entrai in macchina, chiaccherando del più e del meno con Charlotte, mantenendo un sorrisone per tutto il tempo.
    Poi le chiesi dei ragazzi, ed ecco che iniziò a parlare come una macchinetta. Io sorridevo, lasciandomi andare in una risata qua e là di tanto in tanto, mentre la mia mente cercava di ricordarmi perchè ero lì, a Los Angeles, con la figlia di una delle mie migliori amiche che non vedevo da anni, oramai. Strinsi lievemente la presa sul volante, cercando di mantenermi rilassata. Ma la tensione era alle stelle ed io e la calma non eravamo amiche da un bel pò oramai. Forse avrei dovuto cominciare a riallacciare i rapporti con lei, era un'amica preziosa. Svoltai a destra dopo l'incrocio ed eccoci arrivate. Charlotte non aveva fatto che parlare per tutto il tempo e io le sorrisi: mi divertiva..e un pò mi metteva malinconia. tutta questa spensieratezza, questa leggerezza adolescenziale.. io non l'avevo mai provata.
    Scesi dall'auto, aspettando che facesse lo stesso e l'accompagnai dentro, dopo tanti "ma non c'è bisogno" eccetera. Io le accampai la scusa che dovevo salutare una professoressa, amica mia. Ed ecco che una volta varcata la soglia della scuola lei fu investita dal suo gruppo di amiche, mentre io fui investita semplicemente dai..bhè..dagli studenti. Mi tolsi gli occhiali da sole, lasciandoli comunque sulla testa, mentre mi aggiravo cirocspetta per i corridoi strapieni. Calma Alex.. sei troppo vicina per farti rpendere dal panico, mi ripetevo in testa. Eppure nulla, il cuore non smetteva di correre.

    Alexis Josephine Speed ~ my life's a mission

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    Edited by ;stray - 29/8/2010, 23:19
     
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    Triste che un luogo come il posto di lavoro possa diventare un rifugio sicuro, l'unico dove poter fuggire. Non ho mai avuto bisogno di qualcosa del genere. Mai, davvero. Ma sapete come si dice, no? Il passato è passato. E' inutile che mi pianga addosso, ripensando a com'era ogni cosa, allora. E a come, invece, stanno le cose adesso. Eppure... eppure non ci riesco, maledizione. I problemi continuano a cadermi addosso, uno dopo l'altro, come pioggia battente. Non ho confronti da fare, qui, con il passato. Nulla del genere mi era mai successo... giustamente, d'altronde. Quando dolore deve passare una persona, nella vita, prima di potersi dire a posto? Non credo si possa quantificare così, come qualcosa di tremendamente normale. Dannazione, divago. Ma in fondo, anche questi pensieri sconnessi possono essere visti come una sorta di protezione da... tutto. Il mondo esterno, intendo. E lei, in particolare.
    Chiusi gli occhi, per un istante, cercando così di evitare le solite domande di rito. Seppure sia una persona piuttosto taciturna, buona parte del corpo insegnanti sa tutto. E non perchè io sia andato a raccontare la cosa in giro, intendiamoci. Sarebbe dannatamente stupido, da parte mia. Semplicemente... sanno. Da dove sia trapelata la voce, non si sa. Quello che mi da fastido, è il trattamento che mi riservano, sapendo. Tutti sorrisi zuccherosi. Assolutamente... spaventosi. I loro sguardi preoccupati, poi, non ne parliamo... come se fossi il primo, a sentirmi così.
    Comunque, stavolta, me l'ero scampata. Nessuno si era avvicinato, come se nulla fosse, a domandarmi qualcosa. Io, dal mio canto, stavo giusto infrangendo una regola che, beh, mi sono posto quando tutta questa cosa è cominciata. Lasciare il tutto fuori dalla porta. Almeno... qui. Peccato che sia così dannatamente difficile...
    Lasciai perdere il caffè, ormai freddo, che mi ero versato parecchi minuti prima. L'avevo completamente dimenticato. Così come non riesco più a ricordare gli orari e le classi in cui, ogni giorno, ho lezione. Solo quando entro in aula, finalmente, le cose si riassestano. Tutta la mia attenzione va a loro, i miei studenti e a ciò che insegno. E' divertente osservare le loro espressioni, nel corso delle ore. E trovo sia anche impossibile non ritrovarsi, almeno in parte, in quello che è possibile leggere, su quei volti.
    Forse è questo a salvarmi, almeno qui. L'immergersi nei problemi, nelle vite altrui. Per dimenticare quello che invece mi aspetta, fuori.

    Charlie Maxwell Monaghan~ sad man?


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    Risate, chaicchericcio continuo, spintonate, urla.. Insomma, confusione. O forse era vitalità? In entrambi i casi, qualcosa di fin troppo distante da me da potermi far sentire a mio agio. E mi sentivo come un pesce fuor d'acqua, lì in mezzo a tanta vita e a cosi tanta gente, quando da troppo tempo l'unica compagnia che avevo era quella dei miei pensieri. Sebbene fossi una persona socievole, non amavo la compagnia, soprattutto in un momento come quello, dove sentivo...sapevo quasi.. che l'unica persona che aveva mai dato senso alla mia vita non poteva più starmi accanto. Sapevo questo.. eppure ero lì, a cercare di zittire la voce che nella mia testa urlava solo una cosa, una cosa sbagliatissima che non m'avrebbe aiutata di certo a riempire quel vuoto nel mio cuore..
    Quella voce urlava "vendetta". In quella scuola si nascondeva il mio nemico, il mio carnefice indiretto, colui che aveva giocato con tutto ciò che avevo , incenerendolo. Mi passai una mano sul viso, per poi sistemare meglio il giacchetto di pelle che avevo addosso. Gli studenti mi guardavano curiosi, probabilmente cercando di capire cosa ci facessi io. Uno mi fece addirittura l'occhiolino : non potei che sorridere divertita e allo stesso tempo esasperata dalla cosa. Anche quello..l'occhiolino, era una cosa a cui non ero abituata a prestare attenzione. A dire il vero.. per me oramai non esisteva poi molto.
    Avevo solo la mia missione, era come se i miei respiri iniziassero e finissero in vece di questo scopo folle, ma allo stesso tempo dannatamente necessario. E a me sembrava tutto cosi giusto. Il mio cuore mi diceva che era cosi, anche se la mia mente all'inizio, la prima volta che avevo pensato alla vendetta.. mi aveva messa in guardia. In guardia dal farmi corrompere da un odio che non avrebbe portato da nessuna parte.. da un odio che avrebbe semplicemente risucchiato le mie energie. Ma passava il tempo..e la mia mente fu dominata dal cuore.
    Certo che è buffo.. può il cuore suggerire cose cosi crudeli come la vendetta, l'inganno,il tradimento? C'è un qualcosa di contraddittorio in questo, secondo me. "Tò, guarda, il preside"- disse uno studente ad un altro e io, velocissima, mi voltai cercandolo, con fare quasi febbrile, spaesato. Ma ecco che fui urtata da qualcuno. "Ops, mi scusi signorina, faccia attenzione"- mi disse ed io mi voltai..
    No!Allargai gli occhi, sorpresa, sconvolta, scuotendo la testa come a dire che mi dispiaceva. Sorrisi debolmente, mentre mi allontanavo, veloce, confondendomi fra la confusione mentre lui continuava a guardarmi, con le sopracciglia aggrottate. Ero totalmente..sconvolta e avevo bisogno di respirare. Cosi mi fiondai nella prima stanza che mi venne a tiro e mi appoggiai al muro, respirando profondamente ad occhi chiusi. Aprii gli occhi e quasi mi spaventai nel vedere un uomo.. un ragazzo, non so, lì dentro. "Oh..uhm..scusa io..", bene, non sapevo nemmeno cosa dire.

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    Presi a giocare con il bicchiere di caffè, ormai gelato, davanti a me. I miei colleghi parlottavano, e tutti cominciavano a dirigersi verso le classi in cui dovevano fare lezione. Non è mio solito, arrivarvi troppo in anticipo, addirittura prima che la campanella suoni. Anzi. So bene quanto la cosa sia odiosa e distruttiva, per i poveri studenti. Arrivare in classe e trovare già il prof... beh, è da suicidio. C'è bisogno di un attimo raccoglimento, di qualche minuto per prepararsi psicologicamente alla giornata. Così, parto sempre dall'aula insegnanti quando la campanella suona. Cammino tranquillo, per i corridoi, osservando i ritardatari. E ovviamente non faccio una colpa a nessuno, se arriva alle mie lezioni qualche minuto dopo la campanella. Io stesso, appunto, ho i miei tempi e il mio ritardo.
    Così, come al solito, rimasi lì, silenzioso, mentre guardavo gli altri sfilare via. Per ingannare il tempo, e, soprattutto, il resto dei docenti, presi a sfogliare pagine e pagine di appunti, quelli delle mie varie lezioni. I miei occhi correvano tra le righe, senza però leggere veramente ciò che vi era scritto.
    Le urla di quella mattina ancora mi tuonavano nelle orecchie. Anche le sue lacrime, lì ad imperlare i suoi occhi verdi, splendevano tra i miei pensieri. Ognuna mi colpiva come una pallottola, andando a schiantarsi un pò ovunque, dentro di me. E lo sguardo di Lara... dio, forse è lei quella per cui soffro di più. Cosa deve stare provando, a vederci... così? Cosa passa nella sua testa di bambina? Vorrei tanto che tutto questo non fosse un problema così grande, per lei. Eppure non posso a fare a meno di sentirla piangere, silenziosa, quando nessuno è in ascolto. Può una bambina tenersi tanto dolore, dentro? Non è giusto. Non è assolutamente giusto.
    Per quanto riguarda il sottoscritto... oh, al diavolo! Mi ero ripromesso di non ricadere in tutto questo, almeno qui, ricordate? Come se la cosa fosse possibile... lasciai perdere i finti appunti, quando tutti furono usciti. Il caffè gelato aveva un gusto fin troppo amaro, sebbene avessi aggiunto ben tre bustine di zucchero. Bruciava, sulla lingua, seppure fosse freddo. Esattamente come quello di poco prima, a casa, sotto il suo sguardo triste ma sprezzante. Anch'esso brucia, sulla mia pelle. E si ripresenta lì, ogni volta che chiudo gli occhi.
    Gettato il bicchiere di plastica nel cestino, controllai l'orario, segnato dal mio orologio di Topolino. Sì, avete capito bene. Un orologio vecchio, da bambino, però. Un regalo di tanti anni fa. Qualcosa che ancora, appena, mi fa sorridere.
    Quasi sobbalzai, solo pochi attimi dopo, quando sentii la porta sbattere. Alzato lo sguardo, mi ritrovai ad osservare una ragazza, appicciacata al muro, con gli occhi serrati. Lo stupore si dipinse sul mio viso; alzai un sopracciglio, non capendo cosa ci facesse lì. Ancora la stavo osservando, quando incontrai il suo sguardo. Due occhi color cioccolato, dall'aria... indefinibile.
    Mi ritrovai a sorridere, appena, al suo cercare un motivo. "Tranquilla. Questo posto spaventa tutti, la prima volta." le dissi gentilmente, immaginando che fosse una nuova professoressa. In fondo, quella era l'aula insegnanti, no?

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    Era cosi vicino..cosi vicino. Il mio cuore non la smetteva di saltare dei battiti, per poi correre ancora più veloce, come a recuperarli disperatamente. E io non riuscivo quasi a respirare, tanta era la paura.. si, paura. Avete mai desiderato cosi tanto un momento, averlo aspettato tanto.. da non sapere come reagire appena il momento,l'attimo..arriva? Era questo che m'era successo.
    Panico, il panico più totale. Mi sorprendevo addirittura di essere riuscita ad allontanarmi da li, da quel largo corridoio che all'imrpovviso, davanti a quella figura snella ed affascinante, sembrava essersi rimpicciolito all'istante. Dietro a tutto questo panico, a quest'affanno.. un pensiero, assordante quanto gioioso, si fece strada nella mia mente."L'ho trovato". Ero lì, nel suo stesso edificio.. e sembrava all'improvviso che ci fossimo solo noi due in quella scuola, noi due in tutta Los Angeles.. noi due e il ricordo di mio padre. Ma quel ragazzo lo vidi.. quel ragazzo dai capelli biondi, il sorriso gentile e di circostanza.. e gli occhi azzurri, chiari.. eppure profondi, spenti, tristi. Li guardai quegli occhi... e vidi una malinconia di tempi passati che era la mia, un rimpianto per ciò che non si è potuto evitare..che era mio. Un dolore che sapevo di poter condividere. Il mio sguardo, appena mi rivolse la parola, subito si fece apatico come sempre.
    Non amavo far trasparire i miei pensieri, men che meno davanti a gente sconosciuta. Il fatto però che il tizio mi avesse vista cosi sconvolta poco prima mi imbarazzava, per cui mostravo una certa..uhm..cautela davanti a lui. Mi staccai dal muro, cercando di apparire più normale, rilassata magari e meno..strana. Anche se su quest'ultima cosa non avrei messo la mano sul fuoco. Mi sorrise, con fare decisamente gentile. Chissà cosa pensava di me. Probabilmente m'aveva scambiata per una nuova professoressa, per una supplente o chessò io. E allora mi dissi che potevo anche fingere di esserlo,no? Gli sorrisi anche io, con fare amichevole.
    Ecco, apparire felice e contenta era una delle mie migliori qualità. "Davvero? Allora mi sento meno strana.."- dissi, con un sorriso storto. Lo osservai velocemente,senza farmi notare ovvio e convenni che il tizio aveva l'aria piuttosto sbandata. Non mi sembrava un professore. "Supplente anche tu?"- gli chiesi, facendomi passare sul serio per qualcun altro. Rimasi in piedi, vicina alla porta. I luoghi chiusi m'avevano sempre un pò..infastidita.

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    Non sono così... sbadato, ecco. Voglio dire, avevo notato che l'atteggiamento della ragazza, comunque, era parecchio strano. Chi entra in una stanza in un botto, addossandosi alla parete? Sembra più un atteggiamento da inseguimento, o meglio da... fuga. Che fuggisse da tutta la confusione del corridoio? Probabile. In quel modo, però, non l'avevo mai visto fare a nessuno. Con mia grande sopresa, la cosa mi... divertiva. Le mie labbra continuavano a sorridere, in quel modo così lieve e quasi inesistente, per l'entrata piuttosto scenica della ragazza dagli occhi color cioccolato. Lentamente, realizzai di avervi letto qualcosa, in quello sguardo, a primo impatto. Sembrava... triste. Per un istante, quell'impressione mi fece sentire meno solo. Qual'era il suo problema? Sempre che ne avesse uno, certo. Quel fare sconsolato non è riferibile poi a così tante cose.
    Un istante dopo, però, ogni cosa scomparve. Vidi i suoi occhi farsi vuoti, spenti, privi di ogni emozione. Stavolta, fu una sorta di spavento ad assalirmi. Perchè questa improvvisa ed... orrenda, se vogliamo, reazione?
    Il solito idota, ecco cos'ero. Avevo preso a sobbarcarmi anche i suoi, di problemi, ora? Cosa c'entravo, io? Assolutamente nulla. E soprattutto, anche se trovo la cosa assolutamente egoista... avevo già parecchie cose a cui pensare, senza stare a domandarmi il perchè del suo atteggiamento.
    La mia gentilezza, però, era assolutamente spontanea. Probabilmente aveva solo bisogno di una mano, in quel mondo così nuovo, per lei. E poi, fu la ragazza stessa a cambiare ancora una volta la sua immagine. In un attimo, aveva preso a sorridere radiosa, come se il brutto momento fosse passato, così, in un istante. Forse mi ero semplicemente visto riflesso in lei, preso com'ero da tutta quella confusione che sentivo dentro. Sì, doveva essere così. Stupidamente, avevo gettato la mia malinconia su di lei.
    La ascoltai, quindi, attento, cercando di scacciare tutti quei pensieri negativi. Ma non c'era nulla da fare. Eccomi di nuovo lì, a vedere qualcosa di oscuro, nel suo sorriso gentile. Dio, stavo davvero impazzendo. Spostai lo sguardo, per un attimo, fissando un punto impreciso del muro, dietro di lei, sopra la sua spalla. Basta, dovevo smetterla. Non potevo continuare così. Non a scuola, almeno.
    Lei forse non si accorse di nulla, anche perchè la sentii ben presto domandare se fossi un supplente. Come doveva essere lei.
    Scossi il capo, perciò, con un sorriso appena abbozzato dipinto sulle labbra. "No, per mia fortuna ho una cattedra fissa, dentro questa gabbia di matti. Per cosa ti hanno ingaggiata?" le spiegai, ritrovando quell'insolita punta di divertimento, di poco prima, per poi informarmi su cosa ci facesse lì.
    Ero pronto a darle una mano, se ne avesse avuto bisogno. In fondo, la capivo benissimo. Essere l'ultimo arrivato, lì dentro, non era di certo piacevole.

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    Mio padre mi diceva sempre che l'anima doveva essere il nostro specchio solo se ne valeva la pena. Da tanto tempo non eseguivo questo suo piccolo insegnamento. Non potevo farci nulla.. La mia anima non doveva essere mostrata al pubblico, non doveva essere il mio specchio.. eppure lo era. C'erano momenti in cui dimenticavo la regola e smettevo di fingere,per essere me stessa, Alexis. Ma essere sè stessi a volte risulta essere la scelta sbagliata, sebbene voi moralisti non vi troverete sicuramente d'accordo. E allora io vi pongo una domanda: tra il sorridere ed il piangere davanti ad un bambino.. cosa preferireste fare? Ecco, sorridere.
    E per me il mondo intero era un bambino, che davanti alle mie lacrime, alla mia tristezza, sarebbe scoppiato a piangere a ruota, facendomi sentire ancora peggio. E allora perchè non regalare un sorriso, il più vero che riuscissi a fare? Perchè no, se serviva a rendere felice qualcun altro.. o a regalargli un pò di sole? Questo era tutto ciò che mi aveva insegnato mio padre. Un uomo saggio, positivo, sebbene avesse visto più dolori che gioie nella sua vita. E io sognavo di raggiungere la sua forza d'animo, un giorno. sperare di averla subito..in quel momento, sarebbe stato sciocco da parte mia. Ero cosi accecata dal dolore e dal desiderio di vendetta che nemmeno mio padre avrebbe saputo come consolarmi.
    Osservare quel sorriso spontaneo sulle labbra di quel ragazzo poi non mi aiutava affatto: era cosi sincero.. e solare.. la sua figura emanava calore.. Certo, finchè non osservavo i suoi occhi che invece mi chiamavano a gran voce. Ma io a dirla tutta non volevo affatto rispondere. E non volevo rispondere nemmeno alla sua domanda, anche perchè non avrei saputo che dirgli. Ma come sviarla? Semplicemente non potevo. "Oh,bhè, per cose tutt'altro che piacevoli"- tagliai corto, con un sorriso veloce, fulmineo.
    Suonò nuovamente la campanella e io mi guardai fingendo di essere spaesata. "non..dovresti essere già in classe?"- gli dissi, come un prof che incontra l'alunno per i corridoi. Gli sorrisi, mantenendo quell'espressione da "grr, ti faccio la nota". La verità era che avevo bisogno di stare da sola, e volevo a tutti i costi levarmelo dai piedi.

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    Stranamente, la presenza di quella ragazza, lì dentro, non mi infastidiva particolarmente. Fino ad un attimo prima non vedevo l'ora che tutti se ne andassero da quella stanza, in modo da rimanere finalmente da solo, insieme ai miei spettri. Adesso... non dico che il suo esserci mi confortasse, sarebbe sciocco, ma non mi dava nemmeno sui nervi. Probabilmente questo era dovuto al fatto che lei non sapesse nulla di me, a differenza di molta altra gente, lì dentro. Due perfetti sconosciuti. E poi, lo ammetto: non riuscivo a togliermi dalla testa quella strana senzazione, che avevo provato poco prima. Quella sorta di empatia che avevo sentito incontrando il suo sguardo.
    Non per questo, però, dovevo mostrarmi per come mi sentivo veramente dentro. Oltre a non avere senso, come cosa, sarebbe stato anche ingiusto, nei suoi confronti. Per non parlare di tutto il contesto... il primo giorno di lavoro, un fantasma dentro l'aula insegnanti... naaa. Non mi è mai piaciuto sobbarcare gli altri dei miei problemi. Peccato, però, che, seppure in rari casi, la cosa si accaduta, che io fossi volente o nolente. Subito, a quel pensiero, mi tornò in mente una delle nostre tante discussioni, proprio riguardo a questo. Un bambino, mi aveva definito. Un bambino incapace di cavarsela da solo. Da un certo punto di vista, aveva dannatamente ragione...
    Ormai dovevo rassegnarmi. Non ci sarei riuscito, non ci sarei mai riuscito, a lasciare tutto fuori dalla porta. L'unica cosa che potevo fare era distrarmi, focalizzando tutta la mia attenzione su, beh... altro. Come, ad esempio, la ragazza che era entrata in un lampo lì dentro. E che ora, altrettando velocemente, rispondeva in modo... particolare, se vogliamo, alla mia domanda.
    Mi ritrovai quindi ad annuire, vago, a quella sua velata battutina. Non mi passò neanche per la testa quanto, in realtà, quelle parole fossero fin troppo vaghe e sbrigative. E poi, comunque, chi ero io per voler sapere di più?
    La campanella, intanto, suonava. Ancora. Ormai non avevo più tempo per restare lì; era arrivato il momento di immergersi in quella sorta di nuvola, come mi piace pensare, fatta dai pensieri di tutti noi, in una classe. Nuvola che, almeno in parte, attutisce per un pò l'impatto con il mondo esterno. E' assurdo, lo so. Ma pensare così mi aiuta, almeno vagamente.
    Guardai nuovamente la ragazza, pronto a offrirmi di accompagnarla dove mi avesse chiesto, ma lei mi precedette... con un tono che non mi sarei aspettato. Stavolta non sembrava scherzosa, in quella sorta di rimprovero. Aggrottai appena la fronte, pensoso, per poi tornare a rasserenarmi, almeno apparentemente.
    "Non è da me. Trovarsi un insegnante già in classe, alla prima ora, può essere davvero traumatico. Ricordo come la pensavo, quando ero al loro posto." mi limitai però a rispondere, gentilmente, illustandole le mie ragioni. In fondo, non sono pochi quelli che disdegnano questa mia 'filosofia'.
    "In ogni caso, è ora che vada, ormai." mi affrettai ad aggiungere, comunque, raccogliendo le mie cose. Le passai di fianco, aprendo la porta. Un attimo prima di uscire, la guardai ancora, con quell'accenno di sorriso. "Beh... ci si... vede in giro, allora."

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    Mentire non era affatto la mia specialità. Solitamente tacevo, evitavo di rispondere, scappavo. Ma quel ragazzo sembrava non volermi dare questa piccola possibilità. Certo.. avrei potuto star zitta e sorridere soltanto, oppure aprire la porta ed andarmene veloce come ero entrata. In fondo chi mi impediva di farlo? Avevo per sbaglio delle catene?..Mi prendete per pazza se vi dico che in quel momento le catene attorno ai polsi.. le sentii? Era come se qualcosa mi volesse trattenere lì a tutti i costi, in una stupida sala degli insegnanti con un ragazzo che a dirla tutta non mi incuriosiva affatto. Bugia.. si lo so, ho appena detto una bugia.
    Ma ammettere che quegli occhi mi avevano..uhm..colpita, sinceramente, mi imbarazza e non poco. E poi non avevo il tempo di chiaccherare, nè di flirtare con quello lì. Anche se forse una parte di me avrebbe anche voluto. Lo avevo appena visto, si, eppure mi faceva simpatia, a pelle. Io probabilmente gli risultavo solo un pò..ecco..pazza. E Dio solo sa quanto questa impressione sia vicina al vero.
    Infilai le mani nelle tasche dei jeans neri, mentre nervosa mi guardavo intorno, in cerca di un pò d'aria da tutta quella strana situazione. Avrei preferito entrare nella stanza dei bidelli, tra scope e secchielli, che finire lì e dover subire quello strano..clima, un clima denso che non riuscivo ad identificare. Ah, ma forse era solo la paura del momento a farmi sentire cosi strana. In fondo non c'era nessun altro motivo apparente. Almeno cosi credevo al tempo. Se dovessi elencare tutte le cose stupide a cui credevo quella volta credo che non finirei mai più. Ero cosi sciocca.. e fragile, dannatamente fragile.
    Mio padre mi aveva lasciata senza nulla.. ed ora che nemmeno lui era più con me mi sentivo persa, sola. E avevo capito cosa fosse realmente la mia vita, ora che non c'era più lui. Avevo capito che in effetti una vita mia non me l'ero mai fatta: tutto era in sua funzione, in sua vece. Ogni mia azione, ogni mio pensiero.. ogni mio sorriso era dedicato a Lionel Speed. Credevo di aver fatto bene, credevo che la mia vita fosse giusta, anzi.. quella giusta fra tante. E mi rifiutavo di credere che alla fine non fosse servito a nulla: tutti i miei sacrifici.. tutti quei pomeriggi a guardare i ragazzini giocare, adnare al cinema... uscire, mentre io mi allenavo e mi allenavo per qualcosa di motlo più grande ed importante di me..
    No, non poteva essere tutto stato un errore. Dovevo solo trovare la forza per capire che ce l'avrei fatta da sola, in qualche modo. Dovevo capire di essere pronta a cavarmela da me. Ma crescere è sempre stato qualcosa di molto doloroso.
    Sorrisi alla sua frase, sorrisi cercando di fingere che capivo di cosa stesse parlando. Ma io avevo sempre avuto insegnanti privati. La scuola pubblica non era un qualcosa a cui potevo aspirare, ecco. Troppe distrazioni, troppo tempo inutile. Cosi si, avevo studiato e anche bene, ma da sola, nel salotto di casa mia, con accanto un professore severo e silenzioso.
    -"Magnanimo da parte tua"- commentai, con un sorriso, quando lo vidi alzarsi. Mi sistemai una ciocca di capelli, lievemente imbarazzata per non so quale motivo. Con gi occhi bassi aspettai che uscisse dalla stanza ma avverti il suo sguardo su di me. Cosi, come una sciocca..alzai lo sguardo e me lo vidi proprio vicino, intento a sorridermi gentile. In giro diceva. Abbassai lo sguardo, sorridendo, per poi tornare a lui. -"Oh, ma certo. Ciao!"- lo salutai con la mano, mentre mi allontanavo, facendo qualche passo nella stanza e aspettando che uscisse prima di sgattaiolare in giro, in cerca della presidenza,ovvio.

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    Avevo appena richiuso la porta dietro di me, piano, senza fare quasi rumore, quando qualcosa di nuovo mi passò per la testa. Sarà assurdo, ma, per la prima volta, dopo parecchio tempo, non mi sarebbe dispiaciuto parlare. Parlare, esatto. Perchè quello che faccio di solito può essere definito in ben altro modo. Ci sono due categorie. Il litigare, con tutti i suoi gradi e le sue ferite. E lo spiegare, l'insegnare, appunto, ai miei alunni. Ecco. Il mio comunciare con gli altri si limita a questo, da tempo, ormai. E' parecchio che non parlo semplicemente con qualcuno, di qualsiasi cosa. Litigare e spiegare implicano argomenti ben più ristretti. Seppure non ci pensi spesso, mi manca parlare di tutt'altro. Anche solo di idiozie, ecco. Qualcosa in grado di distrarti, da tutto e tutti... credo mi possiate capire. Chi, ogni tanto, non ha bisogno di staccare da ciò che lo circonda?
    Con tutto questo bel discorso, però, non sono ancora arrivato al punto importante della cosa. Per qualche oscura ragione, quella sconosciuta mi ispirava... simpatia. Questo avevo pensato, quando aveva sorriso per la prima volta, dentro la sala insegnanti. Un sorriso dolce, allegro, completamente particolare. Per quanto dicono che la prima impressione possa essere sbagliata, non riuscivo a vedere in modo negativo, quella che avevo avuto su di lei. Un soggetto particolare, questo è innegabile. Capace, però, di ispirarmi parecchia fiducia.
    Le avrei parlato. Forse. Se me ne avesse dato la possibilità. Ma, lo ammetto, non sembrava esattamente propensa a farlo. In quella manciata di minuti in cui eravamo stati faccia a faccia, aveva cambiato, almeno ai miei occhi, atteggiamento parecchie volte. Prima quella strana entrata. Poi quel sorriso... infine, quel cambiamento repentino, dettato da chissà cosa.
    Se non altro, mi aveva disratto, almeno per un pò. Chiusi per bene la tracolla di pelle vecchia e parecchio consunta, rimasta mezza aperta per la mia uscita piuttosto affrettata. Ormai il corridoio era deserto. Certo, come sempre, sembrava essere appena passata una mandria di bufali, o qualcosa del genere. I ritardatari si aggiravano veloci e scaltri come avvoltoi, cercando di raggiungere le loro aule senza destare troppa attenzione.
    "Mi accompagni, Tim?" domandai, vedendo pochi metri dietro di me uno dei miei alunni. Il mio tono era vagamente divertito, e non aveva nulla a che fare con un rimprovero. Era in ritardo, d'accordo. Ma vi ho già spiegato cosa penso, a riguardo.
    Quindi, lasciai che il ragazzo mi raggiungesse, ed ascoltai con un sorrisetto le ragioni del suo essere arrivato a quell'ora. Non doveva giustificarsi, non per qualcosa di così lieve. Ma se proprio gli andava di snocciolarmi le sue motivazioni, beh... non avevo nulla in contrario, nel starlo a sentire. Sarà egoistico, forse, ma anche il suo sentir trattare di problemi così semplici mi distraeva, almeno un poco.
    Anche se... quel clima mi ricordava parecchie cose. Quante volte, in quel passato che ormai mi sapeva solo di sogno, avevo percorso corridioi deserta, in compagnia di lei, lei sola, sentendola... raccontare? Oh, con Juliet era stato così, per anni. Ero il migliore amico, la spalla su cui appoggiarsi, su cui piangere, il suo confidente... ero qualsiasi cosa, per lei, tranne che tutto ciò che avrei desiderato essere. Non era me che voleva. Allora. Piangeva per altri, soffriva per loro... così come io stavo male per lei. Doppiamente male per lei.
    Ma questa, ormai, è storia. Quello che è rimasto, anzi, tornato, è quel dolore. Diverso, stavolta, però. La mia non è più quella gelosia fremente ed adolescenziale. No, la gelosia, ora, non c'entra nulla. Mi sento... dannazione, perchè devo fare questo discorso con voi? E' già abbastanza difficile guardarsi dentro, da solo. E vederci così tante cose da finire completamente in confusione.
    "Buongiorno, ragazzi!" annunciai, con tono abbastanza alto, una volta aperta la porta dell'aula. Dentro, il rumore del chiacchericcio sapeva di... vita. Sono così pieni di vita, i ragazzi. Guardarli è sempre straordinario. Tranquillamente, mi accomodai al mio posto, quella cattedra fin troppo grandi, per i miei gusti. Fortunatamente, non ha sotto uno di quei rialzi, quelli per far 'dominare' il professore sulla classe. E' a livello del pavimento, come tutto il resto.
    Appoggiata la tracolla sul piano, mi appoggiai al tavolo, incrociando le braccia, aspettando che tutti prendessero i loro posti, smettendo di fare confusione.
    Ecco, ora tutto si faceva più semplice. Questione di filosofia, signori.

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    Camminavo sicura, la testa alta, spedita. Non avevo intenzione di dare nell'occhio, per cui decisi che era meglio fingere un pò di disinvoltura. Arrivai davanti ad una rampa di scale. La salii, velocemente, non facendo alcun tipo di rumore. In fondo rapidità e silenzio erano le doti base di una..come me. Chi ero io, vi starete chiedendo. Bhè.. immagino che non potreste arrivarci nemmeno volendo. Ma sinceramente non era importante chi io fossi, ma il motivo per cui mi trovavo lì..quello si che era importante. Perchè avevo insistito cosi tanto per accompagnare Charlotte a scuola? E perchè sgattaiolavo in giro per i corridoi in cerca della presidenza?
    Una volta salite le scale ecco che me la ritrovai davanti. Strinsi le labbra, procedendo con ancor più cautela. La porta era chiusa, sembrava addirittura esser chiusa a chiave, ma non mi sembrava che ci fosse qualcuno dentro. Bene. Sfilai dai capelli una forcina che mi aiutava a non ritrovarmi ciocche sul viso e con maestria vinsi la serratura, che scattò, permettendomi di entrare. Una volta dentro chiusi subito la porta, abbassando le persiane. Mi guardai intorno.. Mhh. bell'ufficio, signor Woods, davvero bello. Divani in pelle scura, mobili in legno di ciliegio.. una scrivania ampia dalla copertura di marmo scuro. Si, se la passava abbastanza bene il caro Douglas.
    Camminai spedita verso la scrivania, cercando chissà cosa poi, non lo sapevo nemmeno io. Carte, scartoffie varie..registri di classi..Uhm, niente di vagamente interessante. Ma..ah!Ecco qualcosa che catturò il mio interesse. Mi sedetti sulla poltrona in pelle, con un sorriso stampato di soddisfazione. E presi la cornice che tanto m'aveva entusiasmato. C'era una foto. Il caro Doug con..suo figlio? Bhè, sembrava di si. O comunque, era qualcuno di molto vicino a lui. Poteva andare. Presi dalla tasca la mia macchina fotografica, scattai una foto alla..foto ( si lo so, è strano) e la rimisi a posto. Mi alzai e.. tornai indietro. Presi un pennarello e segnai di rosso il viso del preside Woods, cerchiando invece quello del ragazzo accanto a lui. Posai il pennarello, lasciandolo senza tappo, come a sottolineare il passaggio di qualcuno in quella stanza e discreta come ero entrata uscii. Una volta fuori camminai tranquilla, facendo a ritroso il percorso che avevo appena fatto e uscendo dall'edificio scolastico, in mano stringevo forte la piccola macchina fotografica. Bene, adesso avevo un obiettivo.

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    Mi sono sempre chiesto perchè, la maggior parte dei professori, adorino fare i severi, gli inflessibili, e cose del genere. E perchè, invece, all'opposto, molti altri si fingano -dico sul serio!- amiconi degli alunni, per poi rivelarsi ben più, scusate il termine, stronzi degli altri.
    Io, sinceramente, credo di non rientrare in nessuna di queste due categorie. Di certo severo non sono, ma non è che faccia l'amicone, con i miei studenti. Semplicemente, li tratto come io volevo essere trattato, quando ero al loro posto. Non da pari, con il prof, ma per lo meno da persona con una propria dignità e un proprio modo di essere. Chissà, sarà che in fondo non sono così vecchio, e ricordo ancora bene i tempi in cui i ruoli erano invertiti, e, tra i banchi, vi ero io.
    Ovviamente, questi miei ragionamenti non sono esattamente apprezzati dalla maggior parte del corpo insegnanti, dal momento che, molti di loro, appartengono a una delle due categorie appena citate. Ritengono di avere più esperienza, loro. Non ricordano, però, quando dovevano testarsi, quando imparavano il mestiere? Mi danno sui nervi. Sarò un pivello, è vero, ma perchè diavolo non posso avere i miei tempi, per imparare a muovermi in questo campo?
    Comunque, non credo vi importi di tutto questo. Così come non penso sia molto divertente, da parte vostra, stare ad ascoltare i miei pensieri riguardo alla mia... situazione, ecco. Però, capitemi. Non posso togliermi dalla testa tutto questo. Vorrei farlo, ma non ci riesco. Non riesco ad andare avanti, non riesco a non pensare a cosa sarebbe successo se, non riesco... non riesco a fare altre mille cose, senza di lei. Non riesco nemmeno a capire del tutto il perchè, della nostra situazione. E non posso non soffrire.
    Mi accorsi di stare fissando un punto indefinito fuori dalla finestra, quando ormai tutti si erano già sistemati. Non che non abbia la fama di essere un pò svampito, per certe cose, ma non amo mostrare questo lato di me, in classe. Teoricamente dovrei essere una sorta di... punto di riferimento, ecco. O, se non altro, l'adulto serio e maturo della situazione. Sul serio avrei pure da ridire, ma non importa...
    Sorrisi appena, comunque, cercando di immergermi il meglio possibile in quella che era la mia vita, lì dentro. "Chi se la sente di riassumere quello di cui abbiamo parlato la volta scorsa?" annunciai, senza guardare nessuno in particolare, per non scatenare l'ansia 'non me, non me'. Qualcuno si sarebbe offerto, lo sapevo. Ok, d'accordo, lo speravo... in ogni classe, comunque, c'è sempre qualcuno abbastanza sfacciato o volenteroso, o, probabilmente, anche generoso da offrirsi in queste cose. Non che sia una costante, certo, ma, senza troppe pressioni, si possono ottenere buoni risultati.
    Comunque, c'ero riuscito, ancora una volta. All'incirca, certo, ma eccomi lì. Attento al mio ruolo, al mio lavoro, ai miei ragazzi... e non a me stesso e ai miei problemi.
    La giornata procedette quindi come al solito, all'incirca, e ben presto arrivò l'ora di pranzo.

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    Cosa avevo appena fatto? Strinsi di più le mani, poggiandovi le labbra contro, come a sorreggere il viso. Ero seduta sugli scalini, e guardavo di fronte a me con aria assente. Cosa avevo appena fatto? Non potevo capacitarmi di essermi dimostrata cosi meschina. Davvero gliela avrei fatta pagare a quel modo? Sapevo anche io che occhio per occhio, dente per dente, non era proprio un bel messaggio, ma era una delle poche cose in cui credevo. In altre parole per me era come il karma.
    Si riceve ciò che si da, detto semplicemente. E io..bhè..io dovevo restituirgli il torto subito. Ripensai alla foto che avevo appena visto. Quel ragazzo era piuttosto giovane. Non so se me la sentivo di.. Ma lui non aveva avuto pietà per mio padre, non ne aveva avuta affatto. Socchiusi gli occhi, con fare un pò esasperato. La verità era che io..ero stanca, profondamente stanca. Di girovagare, di inseguire, di cacciare. E soprattutto..ero stanca di non riuscire a trovare ciò che cercavo. Cosa cercavo? Ecco, questo era il punto. Sapevo che nella mia vita, nella mia intera vita.. mi mancava qualcosa, ma il fatto era che non avevo idea di cosa si trattasse.
    All'improvviso mi venne da sorridere, guardandomi intorno. Cavolo..ero in un liceo. Avevo sempre sognato di trovarmici dentro, un giorno. I corridoi, gli armadietti..avere compagni di scuola.. cose che non avevo mai provato, ma non ci avevo mai fatto tanto caso a dire il vero. In fondo..c'era papà con me, mi bastava. Bhè..certo, a volte anche io sognavo di essere una ragazza normale. Ma in fondo "tutti i supereroi" sognano almeno per una volta di essere insignificanti, senza quest'alone speciale che tanto condiziona e cambia la vita. Perchè ad essere speciali non si guadagna nulla.
    All'improvviso.. driiiiin. Una campanella assordante segnò l'inizio della pausa pranzo. In men che non si dica i corridoi si riempirono, fui costretta anche ad alzarmi dalla mia postazione sulle scale e alla fine.. Aiuto! Mi sentivo cosi confusa! Non sapevo dove stavo andando nè perchè, ma alla fine diciamo anche che mi feci trasportare felicemente dalla corrente di ragazzi che con molta probabilità si dirigeva in mensa. Durante questo mio spostamento involontario, caddi su qualcuno, o più che altro mi scontrai con qualcuno, sbattendo contro il suo petto. "Oddio..ahi..scusa!"- cominciai a farfugliare, sperando di non essermi scontrata con qualche studente brufoloso ed insopportabile. Poi alzai lo sguardo e.. Non potevo crederci. Bhè, era destino. "Oh..seconda volta in un giorno. Devo iniziare a credere che mi pedini?"- chiesi, con un mezzo ghignetto.

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    Era piacevole, quel casino. Strano da dire, per uno come me. In condizioni normali, non è che mi piaccia più di tanto stare in mezzo a tanta, troppa gente. Quella folla di adolescenti, però, mi metteva... allegria. Mi ero reso conto della cosa il mio primo giorno, in mezzo a quel manicomio. C'era vita. Esatto. Questo mi piaceva, di quella sana confusione. Chiacchere allegre, tristi, di tutti i tipi, insomma. Ma soprattutto, chiacchere... semplici. Ad ogni età i suoi problemi. Ora, quasi ascoltavo con un mezzo sorriso quello che sentivo dire, ricordando quando ero io, ad essere in mezzo a quelle pare. Non erano affatto inferiori alla mia situazione attuale, ma riuscivano comunque a rincuorarmi, almeno un pò. Erano così giovani, tutte quelle preoccupazioni...
    già, comincio a sospettare di stare davvero invecchiando. Non che sia un uomo particolarmente vissuto... o forse sì? Non sta a me giudicare la cosa, in ogni caso. Di cose me ne sono successe, ma non credo di potermi definire vecchio. Peccato, però, che la parte più nascosta della mia mente sembri pensarla al contrario.
    Mi sentivo stanco... troppo. Stanco di quella vita, stanco di quelle senzazioni, stanco di... tutto. Che gusto c'era, ad andare avanti così? Se non fosse stato per poche, ma essenziali cose, non sarei riuscito a trovare una risposta coerente, a questa domanda. C'è... Lara. Lei ha bisogno di me, io ho bisogno di lei. Ecco, una delle mie poche certezze, questa. Mia figlia.
    Camminare per quei corridoi pieni di gente, mi faceva pensare anche a quando ci sarebbe stata pure lei, in mezzo a quella marea di persone. La cosa mi faceva sorridere, anche, se, sotto sotto, mi preoccupava terribilmente. Erano tante le domande che vorticavano attornno all'argomento, dentro la mia testa. Non credo vi interessi diventare partecipi della cosa. Anche perchè, almeno questa, penso sia una cosa normale. Quale genitore non si preoccupa per la sorte dei propri pargoli?
    Ah, i parenti. Genitori, in particolare, ovviamente. Ne vedo parecchi, tutti i giorni. Chi si viene a lamentare, chi è in preda all'ansia, chi prova solo orgoglio... ce ne sono di tanti tipi. I più odiosi, però, trovo siano quelli che cercando di riflettere se stessi sui loro ragazzi. Puro egoismo. Non che io non lo sia, in fondo tutti lo siamo, almeno un pò, ma... è così maledettamente ingiusta, come cosa. Di questo, spero Lara non ne soffrirà mai. Nè da parte mia, nè da parte di sua madre.
    Sospirai, appena, a quel pensiero, passandomi veloce una mano sul viso, come se quel gesto potesse lavare via la cosa. Ridicolo, lo so. Completamente ridicolo. All'orizzonte, un attimo dopo, scorsi la sala affollata della mensa. Sembrava davvero di trovarsi nel bel mezzo di un fiume in piena. A volte penso che i bambini siano molto più disciplinati, da questo punto di vista, di un gruppo di adolescenti affammati. Non era poi così difficile, ricordare quei tempi... fame cronica, insomma.
    E poi, le cose non erano particolarmente diverse, ora. La mia pancia brontolava come quella di chiunque altro, nel giro di parecchi metri. Rallentai, sapendo che tanto ci sarebbe voluto un pò, prima di riuscire ad entrare, quando... "Oddio... ahi... scusa!"
    Mi ero appena scontrato con qualcuno! O meglio, per una dannata volta, la colpa non era mia! ... Credo. Comunque, mi ritrovai a guardare la ragazza che avevo incontrato qualche ora prima, in sala insegnanti. La... supplente.
    Con le braccia incrociate al petto, sorrisi appena, divertito, sollevando un sopracciglio con fare fintamente scettico. "Mi sono perso qualcosa, per caso? E' la giornata dello scusa, oggi?" ridacchiai, ironico, alludendo ovviamente al fatto, che, tra le poche parole che ci eravamo scambiati, vi erano sempre finite dentro delle giustificazioni per qualcosa.
    "Comunque" continuai, schiarendomi appena la voce, senza però abbandoare quel tono scherzoso. "Credo che la cosa possa essere vista anche al contrario."
    Umh, interessante. Di punto in bianco sembrava che la parte morta di me lanciasse dei messaggi al mio cervello, o qualcosa del genere. Da quando non rispondevo in modo così idiota a qualcosa, e, soprattutto, a qualcuno? Dovevo essere sul punto di impazzire, probabilmente.

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    Svegliati, Alexis!- mi ripetevo in testa, mentre quel ragazzo..quell'uomo mi sorrideva gentile. Non capivo cosa mi prendesse. So che non mi conoscete ancora, ma vi assicuro che non ero cosi, non ero taciturna, imbarazzata, dislessica e depressa. Io ero sempre piena di energie, un uragano direbbe qualcuno. E non capivo, sul serio, perchè davanti a quel naso a patata mi sentissi cosi piccola ed indifesa. Era un qualcosa che non sopportavo.
    Solitamente la gente non mi faceva mai alcuna impressione, non mi influenzava, soprattutto al primo incontro. Ma quell'insengante..c'era qualcosa di diverso in lui. non osate cercare qualcosa di romantico nelle mie parole, anche perchè sinceramente non avevo tempo per queste sciocchezze. Dicevo solo che si.. c'era qualcosa di..particolare, che chissà perchè mi metteva a disagio. "Svegliati, Alexis!"- mi ripetevo ancora, mentre lui mi sorrideva, chiedendomi a sua volta e a modo suo, scusa. Io abbassai lo sguardo, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, sorridendo a disagio, incapace di dire alcunchè. Se mi fossi vista da fuori probabilmente a quest'ora mi sarei riempita di schiaffi. Mi dissi che il mio comportamento doveva risultare piuttosto stupido, e non senza una ragione. Probabilmente però ero solo tesa per ciò che avevo fatto, per la presenza dell'uomo che più odiavo al mondo lì, in quell'edificio. Avevo quindi bisogno di staccare il cervello per un attimo, se volevo cercare di sembrare normale. Certo, sarei anche potuta scappare cosi, sorridendo e subito dopo dileguandomi. Ma i miei piedi non vollero darmi ascolto. Perchè ci provai, dico sul serio, ma niente, non riuscivo ad allontanarmi da lì.
    Dato che a quanto pare per chissà quale forza oscura dovevo rimanere lì davanti a lui, tanto valeva smetterla di fare il pesce lesso , dicendo qualcosa di vagamente intelligente. O forse chiedo troppo.. Mh, mi bastava dire qualcosa di sensato, si.
    Allora alzai lo sguardo su di lui, che mi fissava.. mi fissava con uno sguardo indecifrabile. non avrei saputo dire se fosse divertito o curioso.
    Mi schiarii la voce, pensando a qualcosa da ribattere alla sua frase. Ma..cosa c'era da dire di più? No, non mi sarei messa di certo a parlare del tempo, eh! Non ero ridotta cosi male. O si? Bhè..in caso..che tempo c'era? Cavolo, eravamo al chiuso, non avrei saputo che dirgli. Magari sparavo qualcosa del tipo " che bel tempo" e lui" ma veramente sta diluviando". E allora si che ci sarebbe stata la figura di merda assoluta. In quel momento avrei contato sulla bontà dei miei piedi e sulla loro veloce corsa. Ma basta dire idiozie, arriviamo al sodo!
    "Mhh..si, questa visione mi piace di più"- dissi, alla fine, sbloccandomi e sorridendogli, riferendomi ovviamente al fatto che potesse essere colpa sua. Okay, buona uscita Alexis, complimenti davvero. Dovevo però dire qualcos'altro? Ma no, bastava eccome. Lui avrebbe sorriso e poi..poi ci saremmo congedati. Uhm.. non mi piaceva come idea, non saprei dirvi il perchè.
    "Come mi ripagherai, allora, per quest'increscioso incidente?"- gli chiesi, aggrottando le sopracciglia e guardandolo con fare indagatore. Ah, viva me! E cosi senza alcun motivo gli avevo "chiesto" indirettamente un pò del suo tempo, forse un quarto d'ora, forse di più. O forse anche meno... Scusate, non so se l'avete capito, ma ero piuttosto su di giri.

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